FORTUNE
Mi sono svegliato con il ricordo del treno, del pullman in cui da piccoli abbiamo temuto l’aids, della cena ultima, a casa dei tuoi e altro. Mi sono svegliato con una terribile malinconia. Ho letto qualche pagina del tuo libro. Poi Marta si è svegliata. Sono andato da lei che piangeva chiamando la mamma. Era sul letto coi cuscini mossi a fianco. L’ho presa in braccio e cullata per un po’, la sua testa sulla spalla. Quando mi sono fermato si è mossa, come a dire riprendi, riproduceva il movimento che desiderava. Ho ripreso un pochino, poi si è alzata dalla mia spalla e abbiamo decretato l’inizio del giorno. Le ho messo i calzini e la maglia. Ha chiesto la mia mano e siamo andati in cucina, dove anch’io mi sono messo i calzini, i calzetti, come dice lei, che mi sollecitava, e la maglia. Lì ha fatto colazione, come al solito. Con lo yogurt, il bavaglio e qualche cereale. Io continuavo a pensare a te, quegli stessi ricordi e la nostalgia. Guardavo fuori dalla finestra. Avevo letto la scena del crodino, quindi pensavo anche al nostro stare seduti al tavolo fuori dalla cucina di casa tua, con la tovaglia in plastica e le clip a tenerla ferma, i giornali, le palline da tennis, Buzz, le piante grasse, l’armadietto con le ciabatte, il plexiglass leggero sulla griglia all’ingresso. Pensavo a tutte queste cose senza dettagliarle, solo sapendole, e noi, i discorsi seri a cui non mancavano le risate. Marta mi ha chiesto i biscotti, sembrava, e poi è tornata a ridarmene un pezzo. Voleva che la aiutassi a metterlo sul cucchiaino con lo yogurt, come avevamo fatto ieri, per farsi imboccare e appoggiarsi a me con il sederino e la schiena, in un piccolo abbraccio da dietro, avvolta, in attesa del boccone. Ero vicino a lei e, mentre ero lì, il sole batteva su noi e sul suo tavolino, il primo sole del mattino. La imboccavo, mangiavo la pera che lei non aveva voluto e sentivo la sua nuca e i capelli sul mio mento e gli zigomi, sentivo il suo odore, come mi capita raramente di soffermarmi a sentire. Ho pensato a Laura, che lo fa spesso. Ho pensato a come questo soffermarsi si faccia più forte quando si sente e teme la fine, la perdita. Io so la perdita, so la fine, la conosco e l’accetto, quindi ho inspirato, mi sono soffermato su tutta quella bellezza, la bellezza più bella della mia vita. Queste mattine di risveglio, questo cullarsi, questo tempo insieme, che fattivamente, così com’è, sta anche per finire. Tornerò al lavoro, qualcosa cambierà, ma non voglio perdere questo. Sentivo, stavo lì e una lacrima mi è scesa sulla guancia sinistra, la destra toccava Marta. Ho desiderato salutare con calore anche Laura, al suo risveglio. Quella lacrima serbata dal primo risveglio è scesa asciugandosi. Ero contento, anche se piangevo. Malinconia, dicevo, bellezza, dicevo, insieme. Mi mancherai e mi manchi, mi dispiace per il tempo che non abbiamo trascorso insieme nell’ultimo anno, per le mie piccole finestre temporali di possibile presenza, non sufficienti ad incontrare le tue finestre di benessere e lontananza da tac o chemio. Mi sono anche chiesto che giorno fosse, oggi, ed era, è, il 15 marzo. 15, ho pensato, una data significativa, sempre, comunque, a suo modo, per entrambi. 15 è un bel giorno. Ho pensato anche ai tuoi regali sul divano, a Natale. E poi ho messo su la canzone che ho immaginato, un giorno, per il mio funerale. Bellissima e calda. Ninnanàninnanoè. La canzone di questi mesi. Ma forse cambierò idea, forse sarà scalzata dalla memoria di molte altre albe e momenti, forse tornerà a non interessarmi il funerale.
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